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a cura di Valentina Luzi
Opening sabato 23 marzo 2024 | ore 17.00 – 20.00
EMMEOTTO ARTE | ROMA
              Via di San Pantaleo, 66 – 00186
fino al 31 maggio 2024
Entrare nelle opere di Federico  Arcuri è come esplorare da dentro lo spazio contemporaneo, ci accompagna  attraverso l’esperienza che si ha degli altri e di noi stessi nella coesistenza  tra luoghi e tempo. Durante la sua produzione artistica ha esplorato e  raccontato il rapporto tra le persone e lo spazio, con il filtro di una palette  in bianco e nero, dove i protagonisti transitano in un’evoluzione continua  cercando di cogliere l’essenza della vita su uno sfondo fatto di architetture,  spazi indefiniti e contesti metropolitani con una semplicità compositiva solo  apparente, che in realtà racconta di una complessità esistenziale in una  rivisitazione concettuale del tutto personale tra l’incontro di elementi  visibili e non visibili, figurazione e astrazione. 
La tecnica utilizzata da Arcuri,  caratterizzata da un’evidente capacità compositiva tra segno e colore, racconta  un viaggio di stratificazioni materiche che nasce dalla costruzione della tela,  realizzata in studio con telai su misura con verghe di abete, continua con la  creazione di un fondo di gesso dove “annegano” pagine di libri antichi seguita  dalla realizzazione di immagini dipinte ad acrilico ispirate da foto trovate  sul web o scattate dall’artista stesso in posti e momenti diversi. L’acrilico  più o meno diluito viene disposto sulla tela mediante velature che generano  profondità e dinamismo. La fase finale prevede un “dripping” direttamente dal  tubetto e l’applicazione di inserti di carta giapponese colorati e stampati,  mediante resina di finitura tirata a pennello.
L’artista indaga, in maniera  profonda, la differenza tra “individuo” e “persona” per comprendere l’identità  umana, attraverso una serie di riflessioni sul significato intrinseco delle due  parole. Mentre la prima distingue l’aspetto fisico e biologico di ognuno di noi  che ci rende diversi agli occhi degli altri, la seconda considera l’esperienza  umana, la totalità delle caratteristiche emotive, sociali, culturali,  psicologiche, la ricchezza dell’interiorità, la dimensione soggettiva,  sottolineando l’unicità e la complessità del singolo attraverso le proprie  esperienze e relazioni. Interrogandosi sulle “Sequences” del DNA, una  successione di informazioni, legami e mappe che parlano di “noi “e del nostro  essere diversi, l’artista traspone la vasta e variegata identità umana nella  sua traduzione artistica. Concepisce, sviluppa e posiziona le figure  all’interno di uno scenario narrativo, che è un paradigma di elementi armonici  e che colpisce con immediatezza e trasporto, grazie alla materia vibrante e  duale del bianco e nero a contrasto con le piccole incursioni di colore che  rispondono ai colori del nostro codice genetico, “unico, irripetibile,  infinito” (cit.), la diversità e la bellezza della nostra natura, l’incredibile  mescolanza che crea la differenza.
Gli spazi, all’interno delle  opere, sono a volte luoghi del tessuto urbano, storici e identificativi,  conosciuti, rassicuranti dove le persone stanziano in una comfort zoneo  si muovono in relazione tra loro, altre volte sono non-luoghi quasi irreali,  senza punti identitari o di riferimento, dove le figure lasciano lo spazio  all’astrazione, in un’atmosfera liquida, universale, sospesa, onirica, un’apnea  di respiro che parla del nostro tempo. In tutte le opere si percepisce un  dinamismo forte, composto da elementi discordanti, ma allo stesso tempo in  perfetto equilibrio, una spinta che ti porta dentro la tela, alla ricerca di  quel posto da occupare con il proprio bagaglio personale, la visione  dell’artista che si trasforma in fruizione attiva dello spettatore.
La mostra in galleria presenta,  anche, alcune opere dove lo spazio architettonico è quello di Roma, la città  che ha visto stratificare la sua identità, le sequenze del suo essere,  l’intreccio tra umanità e storia, secolo dopo secolo, il tutto racchiuso in una  catena dalla potenza spaziale infinita, monumentale, dove le figure in  movimento vivono in connessione tra passato e presente e si appropriano con la  loro presenza fisica ed esperienziale di questa realtà che è un continuum  temporale, che non si spezza mai. È un dialogo visivo tra la dinamicità  contemporanea e l’architettura circostante che osserva l’alternarsi delle  generazioni.
Arcuri riesce a cogliere a pieno  quell’intrinseca essenza narrativa dei luoghi e delle persone, che da sempre  interpreta, lo fa con Roma, lo fa con ognuno di noi, con il rapporto tra lo  spazio e noi, esaltando la bellezza senza tempo della città Eterna, in  un’interconnessione profonda tra patrimonio storico – culturale e patrimonio  genetico universali.