L’artista newyorkese Justin Peyser affronta i temi dell’esilio e della diaspora considerandoli elementi correlati non solo a specifiche questioni di intolleranza, ma anche ad alcuni aspetti dei fenomeni di comunicazione, di circolazione delle idee e di opportunità di incontro.
Il progetto “Diaspora”, curato da Francesca Pietracci, è composto da due mostre di scultura distinte ma parallele e intitolate rispettivamente “Alla Deriva” e Channels”. La prima indica una partenza forzata e senza destinazione certa e l’altra un viaggio attraverso percorsi e canali di comunicazione sia fisici che tecnologici.

1. “Alla Deriva” – Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese, Roma - 24 maggio / 8 settembre 2013


2. “Channels” – Emmeotto living gallery – Palazzo Taverna Roma - 6 giugno / 7 settembre 2013


Concepite come un progetto itinerante, le grandi sculture di Justin Peyser sono arrivate in Italia via mare, salpando dal porto di New York e attraversando la penisola in un susseguirsi di simboliche derive e di concreti approdi.
Rispetto ai flussi naturali, si tratta anche di una diaspora al contrario, di un esodo da un Paese più ricco (USA) ad uno più povero (ITALIA), di un viaggio provocato dallo spaesamento culturale, dal disagio psicologico, dal senso di non appartenenza, dalla necessità di raggiungere altri luoghi in cerca di ataviche radici e di possibili sintonie.
Le sue due mostre sono stata realizzate a Ca’ Zenobio di Venezia, al Maschio Angioino e al Palazzo delle Arti di Napoli, al Museo MAB e al Palazzo dei Bruzi di Cosenza ed ora verranno inaugurate a Roma, il 23 maggio “Alla Deriva” presso il Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese e il 6 giugno “Channels” alla Galleria Emmeotto presso Palazzo Taverna.
In ciascuna di queste città l’artista e le opere hanno interagito significativamente con il tessuto urbano e museale, ma soprattutto hanno creato numerose e toccanti occasioni di incontro con un pubblico multietnico ed eterogeneo, per cultura, per ideologia o per appartenenza religiosa.


1. Alla Deriva – Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese 24 maggio/8 settembre 2013


In questa mostra diaspora e deriva sono rappresentate dalla metafora di un ballo struggente e corale. Le sculture che compongono questa grande installazione raffigurano personaggi misteriosi e senza volto, realizzati in lamiere metalliche tenute insieme da spesse saldature lasciate ruvide, con la bruciatura della fiamma visibile, perché, come dichiara l’artista, “l’andare vagabondando nella diaspora lascia cicatrici, così come il loro sbilanciamento da un lato rappresenta l’essere in bilico tra due patrie”
Le sculture rappresentano esseri pomposi e disperati, ironici e dall’effetto dondolante. Collocati in cerchio, fanno pensare ad una danza galleggiante e a un viaggio che dalla deriva li  sta portando ad un approdo di fortuna. Affacciandosi dal grande terrazzo del Museo Carlo Bilotti, guardano il parco di Villa Borghese dall’alto, ricordando ai passanti la danza della vita unitamente alla simbologia del viaggio. 
A cavallo tra una sofisticata versione degli stili post-modern e avant-pop, le opere di Justin Peyser presentano delle peculiarità apparentemente discordanti, ma magicamente fuse: dolore, perdita, poesia, ironia ed eleganza si fondono dando vita ad una melodia perfetta, fatta di ritmo e di lirismo, di denuncia e di senso di appartenenza.  Se può esistere un testo in grado di frapporsi tra lo sguardo dello spettatore e l’opera, questo non può che essere l’indimenticabile canzone di Leonard Cohen (presente a Roma con il super concerto del 7 luglio) intitolata “Dance Me to the End of Love”, ripresa dal motivo suonato da un quartetto d’archi di musicisti ebrei alla soglia di un forno crematorio, ma allo stesso tempo brano di alta sensualità.


2. Channels – Galleria Emmeotto – Palazzo Taverna – 6 giugno/8 settembre 2013


Se l’esilio e la diaspora sono temi che procurano stati d’animo vicini al dolore e al  senso di perdita, la mostra “Channels” sembra esorcizzare il male e immettere lo spettatore nel consolante canale del fluire. Anche per questo insieme di opere una citazione musicale è d’obbligo, si tratta di Brian Eno e del brano cult dell’Ambient Music “By This River”, concetti che oscillanotra oblio e perlustrazione, staticità e fluire del tempo percepito dal corpo e dalla mente, in una dimensione che oltrepassa il presente (in quanto si identifica con lo  spazio) e connette il passato con il futuro.
Justin Peyser, infatti, concepisce le sculture di questa mostra come assemblaggi di elementi metallici, stratificazioni di vie di comunicazione, compressione di messaggi, onde catturate dall’etere e rese solide. I metalli che usa sembrano liquefarsi  e mantengono intatto il loro senso di duttilità. Ritagli di lastre, a forma prevalentemente di curva, si intersecano cercando di invadere il più possibile lo spazio circoscritto dell’opera. Oggetti trovati, bulloni, saldature e nuove forme si addensano o si distanziano formando marchingegni capaci di evocare una qualche remota funzionalità. L’idea che ne scaturisce è quella di trovarsi di fronte ad una recente archeologia tecnologica, epocalmente distante, ma temporalmente ancora molto vicina. Di fatto questi oggetti comunicano empatia e non distanza, calore umano e non formalismo astratto. Si tratta di un’arte che si potrebbe definire “residuale”, ma che, invece che alla sottrazione, tende alla moltiplicazione e all’accumulo. Quella che appare è la mappatura di una hyperconnectivity che si materializzaattraverso elementi di risulta immersi nel sistema della geometria frattale e che danno vita alla sovrapposizione di sistemi di connettività a schema di rizoma. (…)

JUSTIN PEYSER

a cura di Francesca Pietracci